L’essenza dell’assenza

Assente ingiustificata. Lo so, non è carino cominciare un progetto e abbandonarlo dopo poco, soprattutto un progetto amato, voluto e desiderato realizzare, ma, haimè, io sono troppo “orso” e, quando le cose non vanno, i problemi mi soffocano, la vita mi stringe la gola io mollo gli ormeggi e mi chiudo dentro, fino a quando non ritrovo un altro porto sicuro in cui approdare. La solitudine è la mia medicina.
Oggi è il primo giorno, da più di due mesi, che finalmente sono sola: fase 2, figlie fuori, mamma felice.
La mia clausura è cominciata un pò prima di quella decretata dalle autorità, qualcosa nell’aria si stava già muovendo, come sussurri di tam tam lontani, sono stata contattata dalla mia oncologa per disdire controlli, visite ed esami, dicendomi di non uscire assolutamente, di non far venire nessuno a casa, di evitare posti chiusi, di non avere contatti con chi aveva contatti, insomma, la parola esatta per dare un senso a tutte queste restrizioni era “paziente a rischio”. Avevo appena ricominciato a “vivere”, finalmente potevo guidare, andare, fare, sbrigare cose, sognare giorni sempre meno pesanti, progettare e realizzare e un piccolo, microscopico, invisibile virus mi aveva sbarrato la porta di casa. Dopo qualche giorno il grande decreto aveva sbarrato la porta di casa a tutti.
L’annuncio della chiusura delle scuole è stato motivo di euforico festeggiamento, tipo “campioni del mondo”, da parte delle mie figlie e motivo di panico per me. Il mio primo covid-pensiero è stato un insieme di pensieri che si accavallavano creando altri pensieri che si incatenavano:
– A casa, tutte e tre, se chiudono le scuole la cosa è seria, altro che poco più di un’influenza, moriremo tutti? Sopravviveranno quei pochi che hanno un organismo da higlander? La spesa? Se faccio la spesa e tocco qualcosa su cui qualcuno ha sputacchiato roba infetta e poi mi viene da toccarmi gli occhi, o da grattarmi la bocca, o infilarmi il dito che ha toccato lo sputacchio infetto a mia insaputa in bocca o, maleducatamente nel naso? Se le mie figlie fossero già infette ma, essendo giovani, asintomatiche? Dopotutto si sono assembrate fino a ieri…se mentre mangiamo una di loro respira e inspira troppo vicino a me creando aereosol infetto? Oddio, e se si ammalassero in modo violento? Piuttosto che loro meglio che il virus prenda me, il sacrificio di una madre è un obbligo verso la vita dei figli? Vivremo chiuse in casa fino a quando? Meglio che cucini di più o di meno? Fare scorte, fare scorte, fare scorte…ma di cosa? Tutti stanno facendo scorte e io no, perchè tutti comprano solo carta igienica, farina, lievito e scatolette di fagioli ( che potrebbero forse giustificare la carta igienica…)?
Con il passare dei giorni i grovigli mentali si sono sgrovigliati, certo, ho continuato a rimanere aggiornata sulla situazione guardando solo programmi in cui parlavano della situazione, ho continuato a pensare che stavamo tutti partecipando a un “domino umano”, ma con più controllo perchè dovevo anche gestire le adolescenti di casa, già, mica una roba da poco, altro che pensare alle scorte di carta igienica, era il momento di pensare a strategie serie di sopravvivenza nervi. La gioia del primo momento in cui, con scuole chiuse e non ancora ben organizzate, hanno goduto di lunghe dormite e crogiolamenti su schermi vari, è scemata quando si sono rese conto che no, non potevano vedere le amiche, nemmeno andare a fare una passeggiata con loro, e, purtroppo, nemmeno andare ad accudire il proprio cavallo, tutto finito, niente era più come prima. La diciassettenne ha avuto un momento di smarrimento da carenza di compiti, solertemente colmato dal giovane prof di matematica che, grazie alla sua beata gioventù che lo rende smanettone tecnologico, ha messo tutti i suoi studenti online prima che l’idea fosse balenata al ministro dell’istruzione; la quindicenne, invece, ha sperato fino all’ultimo sui rallentamenti nell’uso della tecnologia, causa età non più verde, da parte dei suoi insegnanti, sicuramente deve anche aver pregato che qualche goccia di virus si insinuasse nelle loro abitazioni, ma si è dovuta arrendere all’appello che la prof di matematica ha cominciato a fare, e fa, quotidianamente poco prima delle otto di mattina ( non più giovane non significa rintronato, ma mattiniero si ), alle sue interrogazioni, alle verifiche cui lei sottopone gli alunni rimanendo attentissima ai tentativi di copiatura, il tutto grazie ai suggerimenti tecnologici per le lezioni che il suo giovane collega (prof della diciassettenne) ha dato a tutto il corpo docente. All’inizio la sofferenza maggiore l’ha avuta proprio la quindicenne, il non poter uscire, vedere gli amici, prendere l’autobus, cazzeggiare con i coetanei davanti alle scuole l’ha prostrata ma al contempo innervosita, poi, di necessità virtù, l’applicazione usata per le lezioni online è diventata la piazza del dopo scuola adolescenziale, tutti dentro stanze virtuali a fare cose, dire cose, vedere cose, le amicizie si sono allargate a macchia di leopardo e la clausura non è più stato un problema…per lei. Per me si, la sua clausura, da quel giorno, è il mio incubo.
La vita sociale della quindicenne è diventata “realmente virtuale”, cioè: amici conosciuti su piattaforme che hanno stanze virtuali che invitano gli amici degli amici in altre stanze dove possono fare amicizia, nel caso mancassero numeri a tre cifre alla loro lista di amici, però, come dice lei, sono amici veri, talmente veri che stanno organizzando un mega incontro reale per quando si potrà riassembrarci un pò ( spero mai, ma io sono orso solitario…). Siccome tutta questa socializzazione richiede tempo e la mattina ci sono le lezioni, il pomeriggio i compiti e le serie tv, il tempo per gli amici lo trova di notte. Se fino alle dieci di sera vaga per casa in pigiama, con occhiaie, brufoletti, capelli anarchici e sguardo da miope, dopo quell’ora arriva la trasformazione: trucco, parrucco e outfit da vera star, ecco, comincia la sua uscita virtuale con gli amici. Così, anche se minaccio, spengo il modem, tolgo cavi e chiudo porte, lei riesce sempre a passare la notte sveglia come un grillo, la sento ridere, parlare, armeggiare in cucina come se la mia notte fosse il suo giorno, e il mio giorno fosse ancora il suo giorno, ho una figlia bionica?
In una di queste notti in cui il mio sonno veniva interrotto da schiamazzi, sonore risate, televisore acceso, odore di toast bruciato, cane 1 che abbaiava, cane 2 che mugolava, cane 3 che russava, ho percepito un miagolio diverso. Nel mio dormiveglia, senza aprire gli occhi, ho chiamato la gatta e ho sentito il suo solito miao, seguito dal miao più profondo del gatto maschio, seguito da un miao flebile flebile, poco riconoscibile. Ho riprovato, questa volta aprendo gli occhi e accendendo la luce, a richiamare la gatta e, ancora, tre miagolii diversi e distinti, quello più flebile però proveniva dalla cuccia del cane 3 che mi guardava soddisfatto e scodinzolante e che, a sua volta, veniva guardato in modo soddisfatto dalla gatta. Decido di andare a verificare, mi alzo, controllo il cane 3 che, stranamente, non si alzava dalla cuccia e trovo accanto a lui un cosino scuro, bagnaticcio e miagolante. La gatta aveva deciso di partorire nella cuccia del cane, insieme al cane. E io che pensavo avesse messo su finalmente un pò di ciccia visto che era ancora piccoletta e gracilina, la ciccia messa su erano invece due gattini ( solo due evviva!), un maschio e una femmina che io volevo subito battezzare Corona e Virus ma le figlie mi hanno impedito subito tale scempio.
Nella fase 1 non sono riuscita ad annoiarmi come avrei voluto, in casa il caos è aumentato, così come la fame delle figlie che, se non mi vedevano ai fornelli, si cimentavano loro in qualche ricetta trovata su youtube, esperimenti culinari improbabili che lasciavano scie di fumo e pile di pentolame da lavare; nonostante non si potesse uscire c’erano mille impegni: la cantata sul terrazzo della mattina, lo sbattimento di pentole del pomeriggio, altra cantata in orario apericena, e io tanta voglia di cantare proprio non l’avevo, un pò perchè sono stonata un pò per carenza di sonno, eccesso di pensieri, indigestione di informazioni e numeri statistici, ecco, l’entusiasmo iniziale da fratellanza per ius solis e da appartenenza nazionalista, l'”andrà tutto bene” detto centinaia di volte al giorno, mi ha resa ancor più orso. Perchè ora ci vogliamo tutti bene come a Natale? Perchè siamo tutti felici di seguire le regole a parole e poi nei fatti continuiamo a fare egoisticamente gli affari nostri? Perchè qui le case estive si sono improvvisamente riempite di lombardi che garantivano di abitarci da mesi? Perchè io non posso uscire se non per comprovata necessità e il mio vicino ogni due giorni viene a vedere se la sua casa al mare è ancora intatta girando senza mascherina? Perchè gioire e riempirsi la bocca di belle parole di fratellanza? Andrà tutto bene solo se tutti si comporteranno bene, le parole non fermano questo cavolo di virus.
Fortunatamente l’informazione giornalistica ha continuato a funzionare diventando unico appuntamento di ogni palinsesto televisivo, ogni tanto cercavo un’alternativa, un film, qualcosa che non fosse la faccia soddisfatta di Mentana nel pensare che potesse battere ogni record di maratona, che non fossero tutorial su come ci si deve lavare le mani, come si prega, come si indossa la mascherina, come si toglie la mascherina, qualcosa che non mi facesse pensare, almeno per un paio di ore, di vivere dentro una pandemia Le prime settimane anche film e documentari erano a senso unico, sembrava che tutti si fossero messi d’accordo per trasmettere ancora più panico mandando in onda documentari su tutto ciò che ha fatto strage di vite umane dall’età della pietra ai giorni nostri, film storici sulla peste del seicento, film di fantascienza su un futuro lontano in cui moriremo tutti per un virus. Tra un disastro e l’altro la pubblicità: “andrà tutto bene, lavati le mani”…
Poi, pian piano, sono arrivate le polemiche, i cazzari hanno riaperto la bocca, finalmente il popolo italiano era tornato a essere italiano, a dividersi tra chi voleva aprire tutto, chi chiudere persino ciò che poteva rimanere aperto, chi tifava per il drone in cerca del podista, chi voleva la fine del campionato di calcio, chi avrebbe fatto meglio del peggio, chi non voleva troppe apparizioni di Conte in tv, chi diceva che Conte non parlava mai, chi aspettava il nuovo decreto come quelli che aspettano la puntata quotidiana della loro soapopera preferita, chi accusava di sovranismo, chi di populismo, chi accusava senza sapere il perchè ma pensando che fosse un dovere farlo, il nostro caro caos italico finalmente tornato, ecco ora potevamo dire davvero “andrà tutto bene”.
In questi giorni però ho capito una cosa: c’è tutto un mondo intorno che mi fa preferire la nostra caciara italiana. Si, abbiamo una burocrazia che, come un blocco di cemento, ci spinge a fondo affogandoci ( very italian style), siamo senza soldi, abbiamo debiti, deficit, banche che si cagano in mano davanti a decreti che le dovrebbero obbligare a elargire prestiti, prestiti che non arrivano, prestiti che poi non si sa come potranno essere restituiti, inps che si autohackera, siamo economicamente nella cacca ( e, personalmente, credo che a qualche altro stato faccia piacere, anzi, ci aiuta a rimanerci per paura che, se dalla cacca ne usciremo, avremo la testa più alta di loro…), però non siamo stupidi. Non abbiamo un presidente che consiglia ustioni e flebo di disinfettante, nemmeno chi ci dice che è meglio stare a guardare il processo naturale della creazione di un’immunità di gregge, abbiamo virologi, immunologi, scienziati, medici, economisti, giuristi, abbiamo tanta materia grigia sparsa fra i cittadini, solo che non ce ne accorgiamo e ascoltiamo quei pochi che di materia grigia deficitano.
Chi vivrà vedrà, anche se non sappiamo ancora come vivremo, l’importante è vivere.
Bellissimo articolo 😉
Passa nel mio blog se ti va
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Sono perfettamente d’accordo con te nel ritenerci fortunate a essere italiane. Quando guardavo i telegiornali e vedevo come gli altri Paesi stavano affrontando i nostri medesimi problemi ho proprio pensato questo: che sono fiera di vivere in un paese come il nostro anche con tutti i 3000 difetti che ha.
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